CLIVE BARKER
ABARAT
GIORNI DI MAGIA NOTTI DI GUERRA
(Abarat: Days Of Magic, Nights Of War, 2004)
Per mia madre,
Joan
Sognai che di un altro nella lingua parlavo,
Sognai che di un altro nella pelle abitavo,
Sognai che me stesso di vero amore amavo,
Sognai che fratello di tigre diventavo.
Sognai che l'Eden dentro me viveva,
E quando respiravo un giardino fioriva,
Sognai che della Creazione tutto conoscevo,
Sognai che il nome del Creatore sapevo.
Sognai - e di tutti i sogni fu il più bello -
Che tutto ciò che sognavo era vivo e vero,
E che vivevamo per sempre nella gioia,
Tu in me, e io in te.
C.B.
PROLOGO
Fame
Ecco una lista delle cose da temere:
Fauci di squalo, ali d'avvoltoio,
Il morso rabbioso dei cani da guerra,
La voce di uno che andò prima.
Ma sopra tutto lo sguardo dello specchio,
Che scarta uno a uno i nostri giorni contati.
Justus Bandy,
Poeta nomade di Abarat
Otto Houlihan era seduto nella stanza buia e ascoltava le due creature che l'avevano condotto là: una cosa con tre occhi chiamata Lazaru e il suo tirapiedi, Baby Congiuntiva, che giocavano a una sorta di bowling nell'angolo. Dopo la ventiduesima partita, il suo nervosismo e l'irritazione cominciarono ad avere la meglio.
«Quanto ancora dovrò aspettare?» chiese loro.
Baby Congiuntiva, che aveva grossi artigli da rettile e la faccia di un neonato deficiente, aspirò un sigaro blu e sbuffò una nuvola di fumo acre verso Houlihan.
«Ti chiamano l'Uomo Incrociato, vero?» disse.
Houlihan annuì, scoccando a Congiuntiva il suo sguardo più freddo, il genere di sguardo che di norma rendeva la gente molle di paura. La creatura rimase impassibile.
«Credi di essere spaventevole, vero?» disse. «Ha! Questa è Gorgossium, Uomo Incrociato. Questa è l'Isola dell'Ora di Mezzanotte. Ogni cupa, impensabile cosa che sia mai successa nel Cuore della Notte è successa proprio qui. Quindi non cercare di spaventarmi. Perdi tempo.»
«Ho solo chiesto...»
«Sì, sì, ti abbiamo sentito» disse Lazaru, e l'occhio al centro della sua fronte roteò avanti e indietro in modo alquanto sconvolgente. «Dovrai essere paziente. Il Sire della Mezzanotte ti vedrà quando sarà pronto per vederti.»
«Hai delle notizie urgenti per lui, vero?» disse Baby Congiuntiva.
«È una cosa tra me e lui.»
«Ti avverto, non gli piacciono le brutte notizie» disse Lazaru. «Diventa una belva, vero, Congiuntiva?»
«Diventa matto! Fa a pezzi la gente a mani nude.»
S i scambiarono sguardi cospiratori. Houlihan non disse nulla. Stavano solo cercando di spaventarlo, e non avrebbe funzionato. Si alzò e andò alla stretta finestra. Guardò il paesaggio bubbonico dell'Isola della Mezzanotte, fosforescente di corruzione. Di ciò che aveva detto Baby Congiuntiva, almeno questo era vero: Gorgossium era davvero un luogo di orrori. Vedeva le forme scintillanti di innumerevoli mostri muoversi attraverso il paesaggio coperto di detriti; annusava incenso dal dolce aroma speziato levarsi dai mausolei nel cimitero avvolto nella nebbia; sentiva il frastuono penetrante dei trapani delle miniere dove veniva prodotto il fango che imbottiva le armate di ricuciti della Mezzanotte. Anche se non aveva intenzione di lasciar percepire a Lazaru o a Congiuntiva il suo disagio, sarebbe stato felice quando avesse riferito la sua relazione e se ne fosse potuto andare in luoghi meno spaventosi.
Alle sue spalle si sentì un mormorio, e un attimo dopo Lazaru annunciò: «Il Principe della Mezzanotte è pronto per vederti.»
Houlihan si voltò dalla finestra e vide che la porta all'altro capo della stanza era aperta e Baby Congiuntiva gli faceva segno di varcarla.
«Presto, presto» disse il neonato.
Houlihan andò alla porta e si fermò sulla soglia. Dall'oscurità della stanza venne la voce di Christopher Carrion, fonda e senza gioia.
«Entra, entra. Sei in tempo per assistere al pasto.»
Houlihan seguì il suono della voce di Carrion. Ci fu un piccolo lampo nell'oscurità, che si fece via via più intenso, e mentre si illuminava, lui vide il Sire della Mezzanotte in piedi a forse dieci metri di distanza. Portava abiti grigi e guanti che sembravano fatti di sottile maglia di metallo.
«Non sono molte le persone che riescono ad assistere a questo spettacolo, Uomo Incrociato. I miei incubi hanno fame, e così li nutrirò.» Houlihan rabbrividì. «Guarda, uomo! Non fissare il pavimento.»
A malincuore, l'Uomo Incrociato levò lo sguardo. Gli incubi di cui Carrion aveva parlato nuotavano in un fluido azzurro che riempiva quasi del tutto un alto collare trasparente attorno alla sua testa. Due tubi emergevano dalla base del cranio del Sire della Mezzanotte, ed era attraverso di essi che gli incubi erano sbucati, nuotando direttamente fuori dalla testa di Carrion. Erano poco più che lunghi fili di luce; ma c'era qualcosa nel loro moto perpetuo, nel modo in cui frugavano nel collare, a volte sfiorando il volto di Carrion, più spesso premendo contro il vetro, che parlava della loro fame.
Carrion infilò una mano nel collare. Uno degli incubi fece un gesto rapido, come un serpente che scatta, e scivolò nella mano del suo creatore. Carrion lo sollevò dal fluido e lo studiò con una curiosa dolcezza.
«Non pare granché, vero?» disse. Houlihan non commentò. Voleva solo che Carrion tenesse quella cosa lontano da lui. «Ma quando queste cose sono acciambellate nel mio cervello mi mostrano certi orrori deliziosi.» L'incubo si contorse nella mano di Carrion ed emise uno squittio sottile e acuto. «Così ogni tanto li ricompenso con un ricco pasto di paura. Loro amano la paura. Ed è difficile che io ne provi molta, di questi tempi. Ho visto troppi orrori a suo tempo. Così offro loro qualcuno che provi paura.»
Nel dire questo, lasciò libero l'incubo, che scivolò via dalla sua presa e cadde sul pavimento di pietra. Sapeva benissimo dove andare. Si srotolò sul pavimento, vibrante di eccitazione, e la luce della sua forma sottile illuminò la sua vittima: un omone con la barba, rannicchiato contro la parete.
«Pietà, mio Signore...» disse fra i singhiozzi. «Sono solo un minatore di Todo.»
«Oh, adesso taci» disse Carrion, come se stesse parlando con un bambino capriccioso. «Guarda, hai un visitatore.»
Si voltò e indicò il pavimento su cui strisciava l'incubo. Poi, senza aspettare che cosa sarebbe successo, si voltò e si avvicinò a Houlihan.
«Allora» disse. «Raccontami della ragazza.»
Alquanto innervosito dal fatto che l'incubo fosse libero e potesse rivoltarsi contro di lui da un momento all'altro, Houlihan cercò le parole. «Oh, sì... sì... la ragazza. Mi è sfuggita a Ninnyhammer. Insieme a un rattopardo di nome Malingo. Ora viaggiano insieme. E li ho quasi raggiunti a Soma Piuma. Ma mi è sfuggita mescolandosi a certi monaci pellegrini.»
«Quindi ti è sfuggita due volte? Mi aspetto di meglio.»
«Possiede un certo potere» disse Houlihan per giustificarsi.
«Davvero?» disse Carrion. E parlando estrasse con cautela un secondo incubo dal collare. Sputava e sibilava. Lo puntò verso l'uomo nell'angolo e lo lasciò andare, e quello si srotolò per raggiungere il compagno. «Deve essere catturata a tutti i costi, Otto» riprese Carrion. «Mi capisci? A tutti i costi. Voglio incontrarla. Di più. Voglio capirla.»
«Come farete, Sire?»
«Scoprendo che cos'è che ticchetta in quella sua testa umana. Leggendo i suoi sogni, per esempio. Il che mi ricorda... Lazaru!»
Mentre aspettava che il servo comparisse alla porta, Carrion pescò un altro incubo dal collare e lo liberò. Houlihan lo osservò unirsi agli altri. Erano molto vicini all'uomo, ma non avevano ancora colpito. Sembrava che aspettassero un ordine del loro padrone.
Il minatore continuava a supplicare. Non aveva smesso di farlo per tutta la conversazione tra Carrion e Houlihan. «Per favore, Sire» continuava a ripetere. «Che cos'ho fatto per meritare questo?»
Carrion alla fine gli rispose. «Non hai fatto niente» disse. «Ti ho solo scelto tra la folla oggi perché stavi strapazzando uno dei tuoi fratelli minatori.» Scoccò uno sguardo alla sua vittima. «C'è sempre paura negli uomini che sono crudeli con gli altri uomini.» Poi distolse di nuovo lo sguardo, mentre gli incubi aspettavano, le code frementi nell'attesa. «Dov'è Lazaru?» chiese Carrion.
«Qui.»
«Trovami la macchina dei sogni. Tu sai quale.»
«Certo.»
«Puliscila. Ne avrò bisogno quando l'Uomo Incrociato avrà fatto il suo lavoro.» Il suo sguardo si spostò verso Houlihan. «Quanto a te» disse, «porta a termine la caccia.»
«Sì, Sire.»
«Cattura Candy Quackenbush e portala da me. Viva.»
«Non vi deluderò.»
«Meglio di no. Se lo fai, Houlihan, il prossimo a finire nell'angolo sarai tu.» Sussurrò alcune parole in Antico Abaratico. «Thakram noosa rah. Haaas!»
Era l'ordine che gli incubi aspettavano. In un istante attaccarono. L'uomo lottò per impedire loro di arrampicarsi sul suo corpo, ma fu inutile. Una volta che ebbero raggiunto il suo collo, avanzarono fino ad avvolgersi per tutta la loro strisciante lunghezza attorno alla sua testa, come per renderlo simile a una mummia. Soffocarono in parte le sue urla, ma lo si sentiva ancora, mentre le suppliche di pietà a Carrion degeneravano in strilli e urla. Via via che il suo terrore aumentava, gli incubi diventavano più grossi ed emanavano lampi sempre più vividi di malsana luminescenza mentre si nutrivano. L'uomo continuò a scalciare e lottare per un po', ma ben presto le sue urla si ruppero in singhiozzi e infine anche quelli cessarono. Così, finalmente, anche la sua lotta.
«Oh, che delusione» disse Carrion, dando un calcio al piede dell'uomo a conferma che la paura l'aveva ucciso. «Credevo che sarebbe durato di più.»
Parlò di nuovo nell'antica lingua, e ormai nutriti e sazi, gli incubi si snodarono dalla testa della loro vittima e presero a tornare verso Carrion. Houlihan non poté fare a meno di arretrare di qualche passo, nel caso che lo scambiassero per un'altra fonte di cibo.
«Avanti, allora» gli disse Carrion. «Hai del lavoro da fare. Trovami Candy Quackenbush.»
«È come se fosse già fatto» replicò Houlihan, e senza guardarsi indietro, nemmeno per una breve occhiata, corse via dalla camera degli orrori e discese le scale della Dodicesima Torre.
PRIMA PARTE
Mostri, folli e fuggitivi
Nulla
Dopo una battaglia durata molti secoli,
Il Diavolo vinse,
E disse a Dio
(che era il suo Creatore):
«Signore,
Stiamo per assistere alla disfatta della Creazione
Per mia mano.
Non vorrei mai che tu
mi credessi crudele.
Quindi ti prego, prendi tre cose
Da questo mondo prima che io lo distrugga.
Tre cose, e poi il resto verrà
spazzato via.»
Dio rifletté per un po'.
E alla fine disse:
«No, non prendo nulla.»
Il Diavolo fu sorpreso.
«Nemmeno te stesso, mio Signore?» disse.
E Dio disse:
«No. Nemmeno me.»
Da Memorie della Fine del Mondo
di autore ignoto
(il poema preferito di Christopher Carrion)
1
Ritratto di ragazza e rattopardo
Facciamoci fare una foto» disse Candy a Malingo. Camminavano lungo una via di Tazmagor, dove - trattandosi dell'isola di Nausilla - erano le Nove del Mattino. Il mercato di Tazmagor era in piena attività, e in tutto quel comprare e vendere un fotografo di nome Guumat aveva montato uno studio precario. Aveva appeso a un paio di pali un fondale dipinto a colori stridenti e disposto la sua macchina fotografica, un marchingegno massiccio montato su un treppiede di legno lucido, proprio lì davanti. Il suo assistente, un ragazzino che aveva gli stessi capelli da zerbinotto e la pelle a leggere strisce azzurre e nere, ostentava un cartello sul quale erano appesi esempi delle foto di Guumat il Vecchio.
«Voi vuole essere fotografati dal grande Guumat?» disse il ragazzo a Malingo. «Lui fa essere voi molto belli.»
Malingo fece un sorriso. «Quanto?»
«Due paterzem» disse il padre, spingendo via il rampollo con dolcezza per concludere l'affare.
«Per tutti e due?» disse Candy.
«Una foto, stesso prezzo. Due paterzem.»
«Possiamo permettercelo» disse Candy a Malingo.
«Forse voi piace costumi. Cappelli?» chiese loro Guumat, squadrandoli. «No prezzo extra.»
«Ci sta dicendo educatamente che sembriamo vagabondi» disse Malingo.
«Be', noi siamo vagabondi» ribatté Candy.
Nel sentirlo, Guumat s'insospettì. «Può pagare?» domandò.
«Sì, sicuro» disse Candy. Frugò nella tasca dei suoi coloratissimi pantaloni, tenuti su da una cintura di giunchelle intrecciate, ed estrasse alcune monete. Ne scelse alcune e contò a Guumat i suoi paterzem.
«Bene! Bene!» disse lui. «Jamjam! Porta uno specchio alla giovane signora! Quanti anni ha?»
«Quasi sedici, perché?»
«Tu ti mette qualcosa più da signora, sì? Noi ha belle cose. Come dico, stesso prezzo.»
«Sto bene così. Grazie. Voglio ricordarmi di tutto questo com'era.» Sorrise a Malingo. «Due vagabondi a Tazmagor, stanchi ma felici.»
«Se è quello che vuole, è quello che ti do» disse Guumat.
Jamjam le porse uno specchietto e Candy ispezionò il proprio riflesso. Era un bel pasticcio, senz'alcun dubbio. Si era tagliata i capelli molto corti un paio di settimane prima in modo da nascondersi da Houlihan confondendosi tra alcuni monaci a Soma Piuma, ma il taglio era stato molto frettoloso, e i capelli stavano ricrescendo in mille angolazioni diverse.
«Sei carina» disse Malingo.
«Anche tu. Guardati.»
E gli diede lo specchio. I suoi amici a Chickentown avrebbero ritenuto la faccia di Malingo - con la sua pelliccia di un arancio acceso e i ventagli di pelle simile a cuoio ai lati della testa - buona solo per Halloween. Eppure, mentre viaggiavano insieme tra le isole, Candy era arrivata ad amare l'anima dentro quella pelle: tenera e coraggiosa.
Guumat li dispose davanti all'apparecchio.
«Deve stare molto, molto fermi» li istruì. «Se vi muove, viene sfuocati nella foto. Adesso lascia che prepara la macchina. Dà un minuto o due.»
«Perché hai deciso che volevi una foto?» chiese Malingo con l'angolo della bocca.
«Solo per averla. Così non mi dimenticherò niente.»
«Come se fosse possibile» disse Malingo.
«Prego» disse Guumat. «Stare molto fermi. Io deve mettere a fuoco.»
Candy e Malingo tacquero per un attimo.
«A che cosa pensi?» mormorò Malingo.
«A quando eravamo a Yzil, a Mezzogiorno.»
«Oh, sicuro. Qualcosa che ricorderemo di sicuro.»
«Soprattutto quando abbiamo visto lei...»
«La Principessa Respiro.»
Ora, senza che Guumat lo chiedesse, tacquero per un lungo momento, ricordando il loro breve incontro con la dea sull'Isola di Mezzogiorno di Yzil. Candy l'aveva vista per prima: una bella donna in rosso e arancio in piedi in una macchia di luce calda, che emetteva col respiro una creatura vivente, un polpo violaceo. Quello, si diceva, era il modo in cui gran parte delle specie di Abarat erano state create. Erano state espirate dalla Creatrix, che poi aveva lasciato che il vento dolce, che soffiava perenne tra i rami e i rampicanti di Yzil, le portasse via dalle braccia i nuovi nati e li conducesse fino al mare.
«È stata la cosa più straordinaria...»
«Io è pronto!» annunciò Guumat da dietro il telo nero sotto il quale si era infilato. «Al mio tre facciamo foto. Uno! Due! Tre! Fermi! Immobili! Immobili! Sette secondi.» Sporse la testa da sotto il telo e consultò il cronografo. «Sei. Cinque. Quattro. Tre. Due. Uno. Fatto!» Fece scivolare una piastra dentro la macchina per bloccare l'esposizione. «Foto fatta! Ora deve aspettare qualche minuti mentre io fa stampa per voi.»
«Non c'è problema» disse Candy.
«Andate giù al traghetto?» le chiese Jamjam.
«Sì» rispose Candy.
«Avete l'aria di chi va in giro.»
«Oh, sicuro» disse Malingo. «Abbiamo visto molto nelle ultime settimane, viaggiando qua e là.»
«Sono geloso. Non ho mai lasciato Nausilla. Mi piacerebbe andare alla ventura.»
Un minuto dopo il padre di Jamjam apparve con la foto, che era ancora umida. «Io può vendere una bella cornice, molto poco costosa.»
«No, grazie» disse Candy. «Va bene così.»
Lei e Malingo guardarono la foto. I colori non erano veritieri, ma Guumat li aveva colti nella posa di due turisti felici, con i loro vestiti coloratissimi e stropicciati, e quindi furono piuttosto soddisfatti.
Con la foto in mano, discesero la ripida collina fino al porto e al traghetto.
«Sai, stavo pensando...» disse Candy mentre si facevano largo tra la folla.
«Oh-oh.»
«Vedere la Principessa Respiro mi ha fatto venir voglia di imparare di più. Sulla magia.»
«No, Candy.»
«Andiamo, Malingo! Insegnami. Tu sai tutto su come far apparire le cose...»
«Un po'. Solo un po'.»
«È più di un po'. Una volta mi hai detto che hai passato ogni ora che Wolfswinkel era addormentato a studiare i suoi tomi e i suoi trattati.»
L'argomento mago Wolfswinkel non veniva sollevato spesso tra loro: i ricordi erano troppo dolorosi per Malingo. Era stato venduto come schiavo da bambino (dal suo stesso padre), e la sua vita come proprietà di Wolfswinkel era stato un ciclo continuo di botte e umiliazioni. Solo l'arrivo di Candy nella casa del mago gli aveva dato l'occasione di sfuggire finalmente alla sua schiavitù.
«La magia può essere pericolosa» disse Malingo. «Ci sono leggi e regole. Mettiamo che io ti insegni le cose sbagliate e cominciamo a disfare la stoffa del tempo e dello spazio? Non ridere! È possibile. Ho letto in uno dei libri di Wolfswinkel che la magia è stata l'inizio del mondo. Potrebbe anche esserne la fine.»
Candy era irritata.
«Non arrabbiarti» le disse Malingo. «È solo che non ho il diritto di insegnarti cose che io stesso non capisco fino in fondo.»
Candy continuò a camminare in silenzio per un po'. «Okay» disse alla fine.
Malingo le scoccò uno sguardo obliquo. «Siamo ancora amici?» chiese.
Candy lo guardò e sorrise. «Ma certo» disse. «Sempre.»
2
Che cosa c'è da vedere
Dopo quella conversazione non nominarono più l'argomento magia. Continuarono a fare compere sulle isole, usando l'onorata guida, L'Almanacco di Klepp,come fonte principale di informazioni. Ogni tanto avevano la sensazione che l'Uomo Incrociato fosse sempre più vicino, e così smettevano con le esplorazioni e si spostavano. Una decina di giorni dopo aver lasciato Tazmagor, i loro viaggi li condussero all'Isola di Capo Orlando. Era poco più di una nuda roccia con un ospedale per pazzi costruito sulla punta più alta. L'ospedale era stato svuotato molti anni prima, ma l'interno recava i segni inconfondibili della follìa dei suoi abitanti. Le pareti bianche erano coperte di strani scarabocchi che qua e là diventavano un'immagine riconoscibile - una lucertola, un uccello - solo per poi contorcersi di nuovo in scarabocchi.
«Che cosa è successo a tutta la gente che stava qui?» si chiese Candy.
Malingo non lo sapeva. Ma ben presto concordarono sul fatto che non era un posto dove volevano indugiare. L'ospedale aveva strani, malinconici echi. Così tornarono al porticciolo ad aspettare un'altra barca. C'era un vecchio seduto sul molo ad arrotolare una cima consunta. Aveva un aspetto stranissimo, con gli occhi tutti rincagnati, come se fosse cieco. Ma non era così, comunque. Non appena Candy e Malingo furono arrivati, cominciò a fissarli.
«Non dovevi tornare qui» ringhiò.
«Io?» chiese Malingo.
«No, non tu. Lei. Lei!» Indicò Candy. «Ti rinchiuderanno.»
«Chi?»
«Loro, non appena capiranno che cosa sei» disse l'uomo, e si alzò.
«Sta' lontano» lo avvertì Malingo.
«Non ho intenzione di toccarla» ribatté l'uomo. «Non sono così coraggioso. Ma vedo. Oh, se vedo. Io so chi sei, ragazza, e so che cosa farai.» Scosse il capo. «Non preoccuparti, non ti toccherò. Nossignore. Non farei mai una cosa così maledettamente stupida.»
E così dicendo li aggirò, facendo in modo di tenersi a distanza, corse giù per il molo scricchiolante e sparì tra le rocce.
«Be', immagino che sia ciò che succede quando si lasciano andare i matti» disse Malingo con forzata allegria.
«Che cos'è che ha visto?»
«Era pazzo, signora.»
«No, sembrava davvero che vedesse qualcosa. Come mi ha fissato.»
Malingo scrollò le spalle. «Non so» disse. Aveva l'Almanacco aperto e lo usò per cambiare goffamente discorso. «Lo sai che ho sempre desiderato vedere la Cripta di Hap» disse.
«Davvero?» disse Candy, senza smettere di guardare le rocce dov'era fuggito l'uomo. «Non è solo una grotta?»
«Be', Klepp dice così» e Malingo lesse ad alta voce. «"Huffaker" - La Cripta di Hap è a Huffaker, che è alle Nove di Sera - "Huffaker è un'isola impressionante, topograficamente parlando. Le sue formazioni rocciose - soprattutto quelle nel sottosuolo - sono tanto vaste quanto belle in un modo complicato, simili a cattedrali e templi naturali." Interessante, eh? Vuoi andarci?»
Candy era ancora distratta. Il suo sì fu quasi impercettibile.
«Ma senti un po'» continuò Malingo, facendo del suo meglio per distrarla dal pensiero del discorso dell'uomo. «"La più grande è la Cripta di Hap"... bla, bla, bla... "scoperta da Lydia Hap"... bla, bla, bla... "Fu Miss Hap a suggerire per prima la Camera della Matassa."»
«Che cos'è la Matassa?» chiese Candy, ora un po' più interessata.
«Cito: "È il filo che unisce tutte le cose - vive e morte, senzienti e non pensanti - alle altre cose..."»
Ora Candy era davvero interessata. Si avvicinò a Malingo e guardò l'Almanacco sopra la sua spalla. Lui continuò a leggere ad alta voce. «"Secondo la convincente Miss Hap, il filo ha origine nella Cripta a Huffaker, e appare a tratti come una sorta di luce fluttuante prima di dipanarsi invisibile per tutta Abarat... legandoci l'uno all'altro."» Chiuse l'Almanacco. «Non credi che dovremmo vederlo?»
«Perché no?»
L'Isola di Huffaker si ergeva a solo un'Ora da Yebba Dim, la prima isola che Candy aveva visitato quando era arrivata ad Abarat. Ma se l'enorme testa scolpita di Yebba Dim aveva ancora un po' di strisce di tarda luce nel cielo sovrastante, Huffaker era soffocata dall'oscurità, e una fitta massa di nubi velava le stelle. Candy e Malingo si fermarono in uno sgangherato hotel vicino al porto, dove mangiarono e fecero i loro piani per il viaggio, e dopo qualche ora di sonno si avviarono sulla strada buia ma ben fornita di indicazioni che portava alla Cripta. Avevano avuto l'accortezza di portare con sé cibo e bevande, di cui ebbero bisogno. Il viaggio fu parecchio più lungo di quanto fossero stati indotti a pensare dal proprietario dell'hotel, che aveva dato loro alcune indicazioni. Ogni tanto sentivano il rumore di un animale che ne inseguiva e abbatteva un altro nel buio, ma altrimenti il viaggio fu tranquillo.
Quando finalmente raggiunsero le grotte, scoprirono che alcuni degli stretti passaggi avevano torce ardenti montate in reggitorce lungo le pareti fredde, per illuminare il percorso. Sorprendentemente, visto quanto suonava straordinario il fenomeno, non c'erano altri visitatori ad assistervi. Erano soli nel seguire il ripido percorso che li condusse dentro la Cripta. Ma non ebbero bisogno di guide che annunciassero loro che la destinazione era stata raggiunta.
«Oh, Lordy Lou...» disse Malingo. «Guarda che posto.»
La sua voce vagò echeggiando per l'ampia caverna in cui erano entrati. Dal soffitto - che era così alto oltre la luce delle torce da essere immerso nel buio totale - pendevano decine di stalattiti. Erano immense, ciascuna della taglia di un campanile di chiesa rovesciato. Erano i posatoi dei pipistrelli di Abarat, un dettaglio che Klepp aveva mancato di citare nel suo Almanacco. Le creature erano molto più grandi di qualunque pipistrello Candy avesse visto ad Abarat, e ciascuna ostentava una costellazione di sette occhi lucenti.
Quanto agli abissi della caverna, erano nero inchiostro, come il soffitto.
«È molto più grande di quanto mi aspettassi» disse Candy.
«Ma dov'è la Matassa?»
«Non so. Forse la vedremo se ci mettiamo al centro del ponte.»
Malingo le scoccò uno sguardo di disagio. Il ponte sospeso sull'oscurità insondabile della volta non sembrava molto robusto. Le assicelle erano antiche e piene di fenditure, le funi sfrangiate e sottili.
«Be', siamo arrivati fino a qui» disse Candy. «Possiamo almeno vedere che cosa c'è da vedere.»
Posò un piede sul ponte per saggiarne la resistenza. Non cedette, così si avventurò oltre. Malingo la seguì. Il ponte gemette e oscillò, e le assicelle (che erano disposte a parecchi centimetri l'una dall'altra) scricchiolarono a ogni passo.
«Ascolta...» sussurrò Candy quando furono al centro.
Sopra di loro sentirono i pigolìi di un pipistrello chiacchierone. E in basso, molto lontano, lo scroscio dell'acqua.
«C'è un fiume laggiù» disse Candy.
«L'Almanacco non...»
Prima che Malingo potesse finire la frase, una terza voce uscì dall'oscurità ed echeggiò nella Cripta.
«Poiché vivo e respiro, vuoi guardare? Candy Quackenbush!»
Il grido infastidì alcuni pipistrelli. Dai loro posatoi si tuffarono nell'aria scura, e nel farlo disturbarono centinaia di compagni, così che nel giro di pochi istanti innumerevoli pipistrelli decollarono: una nuvola ribollente bucata da costellazioni mobili.
«Era...?»
«Houlihan?» disse Candy. «Temo di sì.»
Aveva appena finito di parlare che all'estremità del ponte si posò un piede, e l'Uomo Incrociato entrò nella luce delle torce.
«Finalmente» disse. «Ti ho spinta dove non puoi fuggire.»
Candy guardò indietro. Uno dei compari ricuciti di Houlihan era emerso dalle ombre e avanzava verso di loro. Era una cosa gigantesca e deforme, con i denti di una testa di morto, e non appena posò il piede sul ponte la fragile struttura cominciò a oscillare da parte a parte. Il ricucito mostrò di apprezzare la sensazione, perché continuò a spostarsi avanti e indietro, rendendo il movimento sempre più violento. Candy si aggrappò alla ringhiera di corda, e Malingo la imitò, ma le funi logore offrivano poca stabilità. Erano in trappola. Houlihan avanzava dalla sua estremità del ponte. Aveva staccato la torcia ardente dalla parete e la teneva alta davanti a sé mentre avanzava. Il suo volto, con i tatuaggi incrociati, scintillava di sudore e di trionfo.
In alto, la nuvola di pipistrelli continuava a gonfiarsi, via via che cresceva il numero di animali disturbati dagli eventi sul ponte. Alcuni dei più grossi, forse decisi a cacciar via gli invasori, calarono su Candy e Malingo tra acuti strilli. Candy fece del suo meglio per ignorarli. Era molto più preoccupata per l'Uomo Incrociato, che ormai era a non più di due, tre metri da lei.
«Tu verrai con me, ragazza» le disse. «Carrion vuole vederti a Gorgossium.»
All'improvviso scagliò la torcia oltre il corrimano, e corse a mani nude verso Candy. La ragazza non aveva via di scampo. «E adesso?» le disse.
Candy alzò le spalle. Disperata, si voltò a guardare Malingo. «Tanto vale vedere...»
«Ciò che c'è da vedere?» ribatté lui.
Candy fece un sorriso minimo, e poi, senza nemmeno guardare di nuovo i suoi inseguitori, si scagliarono entrambi a testa in giù oltre il corrimano.
Mentre piombavano nell'oscurità, Malingo emise un selvaggio ululato di allegria, o forse paura, o forse entrambe le cose. Passarono alcuni secondi, e ancora essi caddero e caddero e caddero. Ed ecco che tutto fu buio attorno a loro e lo stridore dei pipistrelli svanì, cancellato dal fragore del fiume di sotto.
Candy ebbe il tempo di pensare: "Se tocchiamo l'acqua a questa velocità ci romperemo il collo", e poi all'improvviso Malingo le prese la mano, e usando un trucco acrobatico imparato stando appeso a testa in giù dal soffitto di Wolfswinkel, riuscì a far rivoltare entrambi, così che si ritrovarono a cadere di piedi.
Due, tre, quattro secondi dopo entrarono in acqua.
Non era fredda. Almeno non gelata. La loro velocità li portò a fondo, tuttavia, e l'impatto li separò. Per Candy ci fu un attimo di panico quando si convinse di aver esaurito tutto il fiato. Poi - che Dio lo benedica! - Malingo la prese di nuovo per mano, ed emersero insieme, boccheggianti.
«Niente ossa rotte?» disse Candy, ansante.
«No, io sto bene. E tu?»
«No» disse lei, stentando a crederlo. «Pensavo che ci avesse preso.»
«Anch'io. Anche lui.»
Candy rise.
Guardarono in su, e per un attimo Candy credette di scorgere la scura linea stropicciata del ponte molto in alto. Poi la corrente li portò via, e qualunque cosa avesse visto fu nascosta dal soffitto della caverna attraverso cui correvano le acque. Non ebbero scelta: la seguirono. Il buio li circondava, tanto che gli unici indizi che avevano per capire le dimensioni della caverna attraverso cui viaggiava il fiume era il modo in cui l'acqua diventava più impetuosa quando il canale si stringeva, e il fragore che si attenuava quando lo spazio si dilatava di nuovo.
Una volta, per pochi, allettanti secondi, ebbero la rapida visione di quello che sembrava un filo luminoso - come la Matassa del resoconto di Lydia Hap - attraversare l'aria sulla roccia sopra di loro.
«Hai visto?» disse Malingo.
«Sì» disse Candy, sorridendo nell'oscurità. «Ho visto.»
«Be', almeno abbiamo visto ciò che eravamo venuti a vedere.»
Era impossibile valutare il passaggio del tempo in un luogo così indefinito, ma un po' dopo aver scorto la Matassa colsero un'altra luce, molto lontana: una luminescenza che diventava sempre più vivida via via che il fiume li portava verso di lei.
«È la luce delle stelle» disse Candy.
«Credi?» le chiese Malingo.
Aveva ragione: lo era. Dopo qualche altro minuto, il fiume finalmente li portò fuori dalle caverne di Huffaker, nel tempo quieto appena dopo il calar della notte. Una sottile rete di nuvole era stata gettata sul cielo, e le stelle che vi erano impigliate mutavano l'Izabella in argento.
Il loro viaggio acquatico tuttavia non era finito. La corrente li trasportò ben presto troppo lontano dalle scure scogliere di Huffaker per tentare di tornarvi a nuoto e li depositò negli stretti tra le Nove e le Dieci. L'Izabella li avvolse, e le acque li sorressero senza che dovessero affannarsi a nuotare. Furono trasportati senza sforzo oltre Nirmyhammer (dove le luci brillavano nella cupola spezzata della casa di Kaspar Wolfswinkel) e più a sud, nella luce, fino alle chiare acque tropicali che circondavano l'Isola del Per Ora. L'odore sonnolento di un interminabile pomeriggio emanava dall'isola, che si ergeva alle Tre in Punto, e il venticello trasportava semi danzanti dalle pendici rigogliose di quell'Ora. Ma Per Ora non doveva essere la loro destinazione. Le correnti dell'Izabella li trasportarono oltre il Pomeriggio, nei dintorni dell'Isola di Gnomon.
Prima che potessero essere deposti sulle spiagge di quell'isola, tuttavia, Malingo avvistò la loro salvezza.
«Vedo una vela!» disse, e prese a strillare a chiunque potesse trovarsi sul ponte. «Di qui! Qui!»
«Ci hanno visto!» disse Candy. «Ci hanno visto!»
3
Sulla Parroto Parroto
La barchetta che la vista acuta di Malingo aveva individuato non si muoveva, così lasciarono che fosse la mite corrente a portarli fin là. Era un'umile barca da pesca non più lunga di cinque metri e in condizioni molto precarie. La ciurma era impegnata a trascinare sul ponte una rete colma fino a scoppiare di migliaia di minuscoli pesci a macchie turchesi e arancio, chiamati farinelli. I gabbiani affamati, rauchi e aggressivi, ruotavano attorno alla barca o calavano sull'acqua vicina, aspettando di impadronirsi di quei farinelli che i pescatori non fossero riusciti a togliere dalla rete e a stipare nella stiva abbastanza in fretta.
Quando Candy e Malingo si trovarono a tiro di voce dalla barchetta, gran parte del duro lavoro era finito, e i lieti componenti della ciurma (erano solo quattro) cantavano una canzone di mare ripiegando le reti:
«Pesci, datemi cibo,
Oh pesci belli!
Nuotate nella rete,
Cadete nei tranelli!
Nutrite i miei bambini!
Il piatto mio colmate!
Per questo siete invero
Creature tanto amate!»
Quando ebbero finito di cantare, Malingo gridò dal mare aperto.
«Scusatemi!» urlò. «Ci sono ancora due pesci quaggiù!»
«Vi ho visti!» disse un giovane della ciurma.
«Gettate loro una cima» disse l'uomo con la barba crespa all'interno della timoniera, che a quel che pareva era il Capitano.
Non ci volle molto perché Candy e Malingo venissero issati lungo il fianco della nave e finissero sul ponte odoroso.
«Benvenuti a bordo della Parroto Parroto»disse il Capitano. «Qualcuno vada a prendere loro delle coperte!»
Anche se il sole era ancora ragionevolmente caldo in quella regione tra le Quattro e le Cinque del Pomeriggio, il tempo passato in acqua aveva gelato sia Candy che Malingo fino alle ossa, e furono lieti delle coperte e delle capienti ciotole di aromatica zuppa di pesce che furono date loro qualche minuto dopo.
«Sono Perbo Skebble» disse il Capitano. «Il vecchio è Mizzel, la ragazza mozzo è Galatea, e il ragazzo laggiù è mio figlio Charry. Siamo di Efreet, e ci stiamo tornando con la stiva piena.»
«Buona pescata» disse Charry. Aveva la faccia larga e allegra, che assumeva in modo istintivo un'espressione di facile soddisfazione.
«Ci saranno delle conseguenze» disse Mizzel: aveva i tratti naturalmente tetri quanto quelli di Charry erano naturalmente allegri.
«Perché devi essere sempre così cupo?» disse Galatea, fissando Mizzel con aria sprezzante. Aveva i capelli rasati così corti che erano poco più di un'ombra sulla pelle del cranio. Le braccia muscolose erano decorate da complicati tatuaggi. «Non abbiamo appena salvato due persone dall'annegamento? Siamo tutti dalla parte della Creatix, su questa barca. Non ci accadrà niente di brutto.»
Mizzel la guardò sprezzante e strappò dalle mani di Candy e Malingo le ciotole vuote. «Dobbiamo ancora passare Gorgossium» disse scendendo nella cambusa con le ciotole. Scoccò uno sguardo obliquo e vagamente minaccioso a Candy, come per vedere se era riuscito a gettare in lei i semi della paura.
«Che cosa intendeva dire?» chiese Malingo.
«Niente» disse Skebble.
«Oh, diciamo la verità» disse Galatea. «Non mentiremo a questa gente. Sarebbe vergognoso.»
«Allora diglielo tu» disse Skebble. «Charry, ragazzo, vieni. Voglio essere sicuro che il bottino sia stipato a dovere.»
«Qual è il problema?» chiese Candy a Galatea quando padre e figlio si furono allontanati per fare il loro lavoro.
«Dovete sapere che non c'è ghiaccio su questa barca, e dobbiamo riportare il bottino a Efreet prima che il pesce marcisca a bordo. Il che significa... lasciate che ve lo mostri.»
Li condusse nella timoniera, dove c'era una vecchia mappa molto consunta appesa alla parete. Indicò con un'unghia ben mangiucchiata un punto tra le Isole di Soma Piuma e Gnomon.
«Noi siamo più o meno qui» disse. «E dobbiamo arrivare... quassù.» La loro destinazione si trovava oltre la Venticinquesima Ora, parecchio a nord dell'arcipelago. «Se avessimo più tempo, prenderemmo la strada del ritorno più lunga, costeggiando le rive di Gnomon e poi superando Per Ora, e punteremmo a nord tra Ninnyhammer e Bubbola, e aggireremmo la Venticinquesima Ora fino a tornare al nostro villaggio.»
"La Venticinquesima" pensò Candy: vi era stata per pochissimo tempo con le donne della Fantomaya. Aveva avuto ogni genere di visioni, compresa quella che aveva sognato molte volte da allora: una donna che camminava in un cielo pieno di uccelli, mentre pesci nuotavano nei cieli liquidi attorno alla sua testa.
«Non c'è modo che ci facciate sbarcare alla Venticinquesima, vero?»
Ma mentre parlava rammentò il lato oscuro della vita sulla Venticinquesima. Là era stata inseguita da una coppia di mostri chiamati i Fratelli Fugit, con i tratti che vagavano su gambette scattanti nella cornice dei loro volti.
«La sai una cosa?» aggiunse. «Forse non è poi una buona idea, dopotutto.»
«Be', comunque non possiamo» le disse Galatea. «Ci vorrebbe troppo tempo. Il pesce marcirebbe.»
«Allora da che parte andiamo?» chiese Malingo.
Candy l'aveva già intuito guardando la mappa.
«Passeremo tra le Piramidi di Xuxux e Gorgossium.»
Galatea sorrise. In bocca le mancavano metà denti. «Dovresti fare la pescatora, davvero» disse. «Sì, è lì che andiamo. Mizzel pensa che sia un brutto piano. Dice che sull'Isola della Mezzanotte vivono esseri di ogni genere. Mostruosità, dice. Cose orrende che verranno da noi volando e attaccheranno la nave.»
«E perché dovrebbero?» chiese Candy.
«Perché vogliono mangiarsi il pesce. Oppure vogliono mangiare noi. O tutt'e due. Comunque, non sono belle notizie. Ma non possiamo certo essere squiscidi...»
«Squiscidi?» chiese Candy.
«Codardi» spiegò Malingo.
«Dobbiamo superare la Mezzanotte, che ci piaccia o no» riprese Galatea. «Oppure perderemo il pesce, e un sacco di gente avrà fame.»
«Non è una buona scelta» disse Skebble uscendo dalla stiva. «Ma come dice la ragazza, non abbiamo scelta. E... temo che anche voi non abbiate scelta: dovete venire con noi. Oppure vi si butta in mare di nuovo.»
«Credo che sia meglio se restiamo a bordo» disse Candy, e rivolse a Malingo un'occhiata ansiosa.
Puntarono a nord, via dalle chiare acque pomeridiane degli stretti tra le Quattro e le Cinque, verso i cupi abissi che circondavano la Mezzanotte. Non fu un cambiamento da poco. Un attimo il Mar d'Izabella scintillava di luce dorata, e tutti avevano caldo; un attimo dopo, onde di buio coprirono il sole e un freddo pungente si levò ad avvolgerli. A babordo videro l'immensa Isola di Gorgossium. Anche da notevole distanza riconobbero le finestre delle tredici torri della fortezza di Iniquisit e le luci che ardevano attorno alle miniere di Todo.
«Vuoi vederci meglio?» chiese Mizzel a Candy.
Le passò il suo vecchio, sciupato cannocchiale, e lei osservò l'isola. Sembrava che vi fossero immense teste incise in alcuni degli affioramenti di pietra dell'isola. Qualcosa che pareva una testa di lupo, qualcosa dall'aria vagamente umana. Ma molto più raggelanti erano gli enormi insetti che vide zampettare intorno: zanzare o pidocchi grandi come camion. La fecero rabbrividire, anche a distanza di sicurezza.
«Non è un bel posto, vero?» disse Skebble.
«No, proprio no» disse Candy.
«Però piace a un sacco di gente» continuò il Capitano. «Se hai un luogo oscuro nel cuore, è quello il posto dove vai, capito? È quello il posto dove ti senti a casa.»
«Casa...» mormorò Candy.
Malingo le era vicino e la sentì pronunciare quella parola.
«Hai nostalgia di casa?» le chiese.
«No. No. Be'... a volte. Un po'. È per la mia mamma, a dir la verità. Ma no, non stavo pensando a quello.» Accennò a Gorgossium. «È strano pensare che qualcuno chiami casa quel luogo squallido.»
«A ciascuno la sua Ora, come scrisse il poeta» commentò Malingo.
«Qual è la tua Ora?» gli chiese Candy. «A che luogo appartieni?»
«Non lo so» disse Malingo, triste. «Ho perso la mia famiglia molto tempo fa - o almeno, loro hanno perso me - e non credo che li rivedrò in questa vita.»
«Potremmo tentare di ritrovarli.»
«Un giorno, forse.» La sua voce si fece un sussurro. «Quando non avremo certa gente alle calcagna.»
Dal timone si levò un'improvvisa esplosione di risate, che pose fine alla conversazione. Candy si avvicinò per vedere che cosa succedeva. C'era un piccolo televisore (che aveva tendine rosse ai lati dello schermo, come un teatrino) sul ponte. Mizzel, Charry e Galatea lo fissavano, avvinti dalle imprese di un ragazzo a cartoni animati.
«È il Bimbo Commexo!» disse Charry. «È così forte!»
Candy aveva ormai visto molte volte l'effigie del Bimbo. Era difficile aggirarsi ad Abarat senza incontrare la sua faccia sempre sorridente su un cartellone o su un muro. Le sue buffonate e le sue battute erano usate per vendere di tutto, dalle culle alle bare, e tutto ciò che chiunque potesse desiderare tra l'una e l'altra cosa. Candy osservò per un po' il danzante schermo azzurrino, ripensando al suo incontro con l'uomo che aveva creato il personaggio: Rojo Pixler. L'aveva incontrato a Ninnyhammer, per poco tempo, e nelle molte settimane trascorse da allora si era aspettata di rivederlo, prima o poi. Faceva parte del suo futuro, lo sapeva; anche se non sapeva come o perché.
Sullo schermo il Bimbo faceva degli scherzi, come al solito, con grande divertimento della sua scarna platea. Erano cose semplici, a effetto. Veniva versata della vernice; veniva lanciato del cibo. E attraverso tutto questo danzava la sagoma instancabilmente allegra del Bimbo Commexo, che dispensava sorrisi, tortine e "solo un po' d'amore" (con queste parole suggellava ogni episodio) al mondo intero.
«Ehi, Miss Addolorata» disse Mizzel, guardando Candy. «Tu non ridi!»
«Non credo che sia molto divertente, tutto qui.»
«È il migliore!» disse Charry. «Lordy Lou, le cose che dice!»
«Felice! Felice! Felice!» disse Galatea, imitando alla perfezione la voce stridula del Bimbo. «È così che sono! Felice! Felice! Feli...»
Fu interrotta dal grido intriso di panico di Malingo: «Siamo nei guai!» urlò. «E vengono da Gorgossium!»
4
Gli spazzini
Candy fu la prima a uscire dalla timoniera e a tornare sul ponte. Malingo aveva il binocolo di Mizzel puntato e studiava i cieli minacciosi dalla parte di Gorgossium. Quattro creature dalle ali cupe volavano verso la barca da pesca. Erano visibili perché le loro viscere brillavano attraverso la pelle translucida, come accese da un aspro fuoco. Farfugliavano nell'avvicinarsi, il chiacchiericcio di creature folli e affamate.
«Che cosa sono?» chiese Candy.
«Sono zethekaratchia» la informò Mizzel. «Zethek per farla breve. I sempreaffamati. Non riescono mai a mangiare abbastanza. Ecco perché vediamo le loro ossa.»
«Non è una bella notizia» azzardò Candy.
«Non è una bella notizia.»
«Prenderanno il pesce!» disse Skebble, affiorando dal ventre della nave. A quel che pareva era sceso a trafficare col motore, perché era coperto di macchie d'olio e aveva in mano un grosso martello e una chiave inglese ancora più notevole.
«Chiudete la stiva!» urlò alla piccola ciurma. «Presto, o perderemo tutto il pesce!» Puntò un tozzo dito verso Malingo e Candy. «Dico anche a voi!»
«Se non riescono a impadronirsi del pesce, non si rivolteranno contro di noi?» chiese Malingo.
«Dobbiamo salvare il pesce» insisté Skebble. Afferrò Malingo per un braccio e lo spinse verso le stive traboccanti. «Non discutere!» aggiunse. «Non voglio perdere il bottino! E si stanno avvicinando!»
Candy seguì il suo sguardo verso il cielo. Gli zethek erano ormai a meno di dieci metri dalla barca e planavano nel cielo del tramonto per cominciare la loro opera di predatori spazzini. A Candy non piaceva l'idea di cercare di proteggersi da loro disarmata, così s'impadronì della chiave inglese che Skebble reggeva nella sinistra. «Se non ti dispiace, prendo questa!» disse, sorprendendo anche se stessa.
«Prendila!» disse lui, e andò ad aiutare il resto della ciurma nell'opera di chiudere le stive.
Candy si diresse verso la scala sul lato della timoniera. S'infilò la chiave inglese tra i denti (non fu un'esperienza piacevole: sapeva di pesce e di sudore di Skebble) e si arrampicò su per la scala. Una volta in cima, si voltò per affrontare lo zethek. La vista di quella ragazza in piedi sulla timoniera con la chiave inglese in mano come una mazza li aveva un po' intimoriti. Non si avventarono più sulla Parroto Parroto,ma rimasero a mezz'aria a tre, quattro metri di altezza.
«Venite giù!» urlò loro Candy. «Vi sfido a farlo!»
«Sei pazza?» strillò Charry.
«Scendi!» le gridò Malingo. «Candy, vieni...»
Troppo tardi! Lo zethek più vicino colse la provocazione di Candy e discese. Le sue lunghe dita ossute e luminescenti si protesero per afferrarle la testa.
«Bravo!» disse lei. «Guarda che cos'ho qui per te.»
Scagliò la chiave inglese in un ampio arco. L'attrezzo era pesante, e in verità Candy lo controllava a fatica, così fu più per caso che per intenzione che riuscì a colpire la creatura. Detto questo, fu un gran bel colpo. Lo zethek cadde dal cielo come se fosse stato colpito da una pallottola, e colpì le tavole della timoniera così forte che quelle scricchiolarono.
Per un istante rimase immobile.
«L'hai ucciso!» disse Galatea. «Ha ha! Buon per te!»
«Io... non credo che sia morto...» disse Candy.
Era riuscita a sentire quello che Galatea non aveva udito. Lo zethek ringhiava. Molto piano, levò la testa da gargoyle. Sangue scuro gli colò dal naso.
«Mi... hai... fatto male...»
«Be', vieni qui» disse Candy, facendo cenni alla bestia attraverso le tavole spezzate del tetto. «Te ne farò ancora.»
«La ragazza ha tendenze suicide» osservò Mizzel.
«Il tuo amico ha ragione» disse lo zethek. «Hai proprio tendenze suicide.»
Dopo aver parlato, lo zethekaratchia aprì la bocca e continuò ad aprirla, sempre di più, finché non fu così grande da poter staccare la sommità del capo di Candy. In effetti pareva quella la sua intenzione, perché si lanciò in avanti, scavalcando con un balzo il buco nel tetto, e la gettò a terra. Poi le saltò addosso. La chiave inglese le sfuggì di mano; non ebbe il tempo di riprenderla. Lo zethek era sopra di lei, con l'enorme bocca spalancata. ..
Chiuse gli occhi mentre una nube di fiato della bestia si abbatteva sul suo viso. Aveva pochi istanti di vita. E poi all'improvviso ecco Skebble, col martello in mano.
«Lascia stare la ragazza» urlò, e abbatté il martello sul cranio dello zethek, sferrando un colpo così violento che la bestia cadde all'indietro nella timoniera attraverso il buco nel tetto, morta.
«Sei stata coraggiosa, ragazza» disse Skebble, aiutando Candy a rialzarsi.
La ragazza si batté sulla cima della testa, per essere sicura che ci fosse ancora. C'era.
«Uno in meno» disse Candy. «Ne mancano tre...»
«Qualcuno mi aiuti!» urlò Mizzel. «Aiuto!»
Candy si voltò per scoprire che un'altra di quelle dannate creature aveva afferrato Mizzel e lo inchiodava al ponte, preparandosi a farne il suo pasto.
«No, non lo farai!» urlò, e corse verso la scala.
Solo a metà strada le venne in mente che aveva lasciato la chiave inglese sul tetto. Era troppo tardi per tornare a prenderla.
Il ponte era scivoloso per l'olio di pesce e l'acqua, e invece di correre si ritrovò a pattinare, del tutto priva di controllo. Urlò che qualcuno la bloccasse, ma non c'era nessuno abbastanza vicino. Davanti a lei c'era la stiva, con la porta già aperta da una delle bestie. La sua sola speranza di fermarsi era protendersi ad afferrare lo zethek che stava insidiando Mizzel. Ma avrebbe dovuto fare in fretta, prima che l'opportunità le sfuggisse. Tese la mano e fece per aggrapparsi alla bestia. Lo zethek la vide arrivare e si voltò per dissuaderla, ma non fu abbastanza rapido. Gli afferrò i capelli. La bestia gemette come un pappagallo infuriato e cercò di liberarsi, ma Candy mantenne la presa. Purtroppo, lo slancio era troppo perché riuscisse a fermarsi. Semmai il contrario. Invece, la creatura partì con lei, cercando di sbrogliare le dita della ragazza dai propri squallidi ricci mentre scivolavano entrambi verso la botola spalancata.
Caddero tra i pesci. Per fortuna non fu una lunga caduta: la stiva era quasi piena di farinelli. Ma non fu un atterraggio piacevole: un migliaio di pesci scivolavano sotto di loro, freddi e bagnati e molto morti.
Candy teneva ancora stretti i capelli dello zethek, così quando la creatura si alzò - cosa che fece all'istante - anche lei fu trascinata in piedi.
La creatura non era abituata a sentirsi afferrare da chicchessia, men che meno da una ragazzetta. Si divincolò furibonda, cercò di morderla con l'enorme bocca, poi tentò di scrollarsela via scuotendosi così forte che le sue ossa sbatacchiarono.
Finalmente, disperando di riuscire a liberarsi, lo zethek chiamò i compagni sopravvissuti: «Kud! Nattum! Qui! Nella stiva! Ora!»
Qualche istante dopo, Kud e Nattum apparvero sull'orlo della stiva.
«Methis!» disse Nattum, con un ghigno. «Hai una ragazza per me!»
Così dicendo, aprì la bocca e inspirò con tanta forza che Candy dovette lottare per evitare di finire diritta nel suo gozzo.
Kud non era interessato a simili giochetti. Spinse da un lato Nattum. «La prendo io!» disse. «Ho fame.»
Kud lo spinse via.
«Anch'io!» ringhiò.
Mentre i due se la contendevano, Candy colse l'occasione per gridare aiuto:
«Qualcuno mi aiuti! Malingo! Charry!»
«Troppo tardi» disse Kud, e sporgendosi oltre l'estremità della stiva la afferrò e la tirò su. Fu così rapido e violento che Candy perse la presa su Methis. I suoi piedi scivolarono per un attimo sul pesce viscido; poi eccola per aria, trascinata verso la bocca di Kud, che era aperta come un tunnel dentato.
Un attimo dopo tutto fu buio. La sua testa - con suo profondo orrore - era nella bocca della bestia.
5
Pronunciare una Parola
Anche se tutto il suo cranio all'improvviso era racchiuso nella bocca dello zethek, Candy riuscì lo stesso a sentire una cosa del mondo esterno. Solo una cosa stupida. Era la voce querula del Bimbo Commexo che cantava la sua canzoncina eternamente ottimista.
«Felice! Felice! Felice!» starnazzava.
Candy pronunciò una breve preghiera nell'attimo oscuro, per chiedere aiuto a qualunque Dio o Dea, di Abarat o dell'Altromondo, che si trovasse in ascolto. Era una preghiera molto semplice. Diceva soltanto: Ti prego, fa' che quel ridicolo Bimbo non sia l'ultima cosa che sento prima di morire...
E grazie alle divinità, la sua preghiera fu accolta.
Si udì un tonfo sordo, e Candy avvertì la tensione delle fauci di Kud allentarsi. Subito estrasse la testa dalla sua bocca. Questa volta il viscidume del pesce sotto di lei giocò a suo vantaggio. Scivolò sul tappeto di farinelli in tempo per vedere Kud affondare tra i pesci. Distolse lo sguardo da lui e lo levò verso il suo salvatore.
Era Malingo. Era lì in piedi, con il martello di Skebble in mano. Sorrise a Candy. Ma il suo trionfo fu breve. Un attimo dopo, Kud emerse ruggendo dal suo viscido letto di pesci e fece inciampare Malingo, che cadde sulla schiena.
«Ah ha!» urlò Kud, posando lo sguardo sul martello sfuggito alla presa di Malingo. Lo afferrò e si alzò. Il lucore delle sue ossa si era tramutato in un brillio furioso. Nelle orbite, due macchie di rabbia scarlatta scintillarono mentre si voltava a fissare Candy. Sembrava un essere in corsa su un treno fantasma. Brandendo il martello, corse verso Candy.
«Corri!» le urlò Malingo.
Ma Candy non aveva dove correre. C'era uno zethek alla sua sinistra, e uno a destra, e dietro di lei una parete. Un sorriso da scheletro si allargò sul viso di Kud.
«Le tue ultime parole?» disse, levando il martello. «Andiamo» ringhiò. «Devi pur avere qualcosa in mente.»
Curiosamente, Candy aveva qualcosa in mente: una parola che non ricordava nemmeno di aver sentito fino a quel momento...
Kud parve cogliere la sua confusione.
«Parla!» disse, e colpì il muro alla sinistra della sua testa col martello. Il fragore echeggiò per tutta la stiva. I farinelli morti si agitarono come se fossero stati percorsi da un brivido vitale. «Parlami!» disse Kud, e colpì la parete alla destra della testa di Candy. Fiotti di scintille sgorgarono in quel punto, e i pesci balzarono una seconda volta.
Candy si portò la mano alla gola. C'era una parola lì. La sentiva, come qualcosa che avesse mangiato ma non inghiottito. Voleva essere pronunciata. Di questo era sicura. Voleva essere pronunciata.
E chi era lei per negarle le sue ambizioni? Lasciò che le sillabe si levassero non richieste. E le pronunciò.
«Jassassakya-thüm!» disse.
Con la coda dell'occhio vide Malingo rizzarsi a sedere sul letto di pesci.
«Oh, Lordy Lou...» disse lui, la voce smorzata dal timore. «Come fai a conoscere quella parola?»
«Non la conosco» disse Candy.
Ma l'aria la conosceva. I muri la conoscevano. Non appena le sillabe furono uscite dalla sua bocca, tutto prese a vibrare in risposta al suono di ciò che Candy aveva detto, qualunque cosa fosse. E con ogni vibrazione l'aria e le pareti ripeterono le sillabe, nel loro strano modo.
Jassassakya-thüm!
Jassassakya-thüm!
Jassassakya-thüm!
«Che... cosa... hai fatto... ragazza?» disse Kud.
Candy non lo sapeva. Però Malingo sì.
«Ha pronunciato una Parola di Potere» disse.
«Davvero?» disse Candy. «Voglio dire, sicuro. È quello che ho fatto.»
«Magia?» disse Kud. Prese ad allontanarsi da lei, e il martello gli scivolò dalle dita. «Ho capito subito che avevi qualcosa di strano. Sei una ragazza-strega! Ecco che cosa sei! Una ragazza-strega!»
Come il panico dello zethek cresceva, così crescevano gli echi. A ogni ripetizione prendevano sempre più forza.
Jassassakya-thüm!
Jassassakya-thüm!
Jassassakya-thüm!
«Credo che adesso dovresti uscire di lì» Malingo urlò a Candy mentre il fragore cresceva. «Che cosa?»
«Ho detto vieni fuori! Fuori!» Parlando barcollò verso di lei solcando la distesa di pesce, che a sua volta vibrava al ritmo delle parole. Gli zethek non gli fecero caso, e nemmeno a Candy. Erano sotto l'effetto della parola. Avevano le mani premute sulle orecchie, come se temessero che quella le assordasse, e forse era proprio così.
«Questo non è un posto sicuro» disse Malingo, arrivato al fianco di Candy.
La ragazza annuì. Cominciava ad avvertire anche lei l'influenza angosciante delle vibrazioni. Galatea era lì, pronta a issarla sul ponte. Poi tutte e due le ragazze si diedero ad aiutare Malingo: si protesero per afferrare le sue lunghe braccia. Candy contò: «Uno, due, tre...»
E tirarono insieme, sollevandolo con sorprendente facilità.
La scena nella stiva era diventata surreale. La Parola faceva vibrare il bottino con tanta violenza che a prima vista il pesce sembrava tornato in vita. Quanto agli zethek, erano come tre mosche chiuse in un barattolo: venivano sbatacchiati avanti e indietro e urtavano contro le pareti. Sembrava che avessero dimenticato che c'era una possibilità di fuga. La Parola li aveva resi folli, o idioti, o entrambe le cose.
Skebble era in piedi dall'altra parte della stiva. Indicò Candy e le urlò: «Fallo smettere! O mi distruggerai la barca!»
Quanto alla barca, aveva ragione. Le vibrazioni nella stiva si erano propagate attraverso lo scafo. Le tavole tremavano così forte che i chiodi venivano sparati in aria, la timoniera già cigolante oscillava avanti e indietro, il sartiame vibrava come le corde di un'enorme chitarra; anche l'albero dondolava.
Candy guardò Malingo.
«Visto?» disse. «Se mi avessi insegnato un po' di magia, saprei come farlo smettere.»
«Be', un momento» disse Malingo. «Dove hai imparato quella parola?»
«Non l'ho imparata.»
«Devi averla sentita da qualche parte.»
«No. Lo giuro. Mi è venuta in mente e basta. Non so da dove è venuta.»
«Se voi due avete finito di chiacchierare...» ululò Skebble sopra il frastuono. «La mia barca...»
«Sì!» urlò di rimando Candy. «Lo so, lo so!»
«Aspirala!» disse Malingo.
«Che cosa?»
«La Parola! Aspira la Parola!»
«Aspirarla?»
«Fa' come dice!» urlò Galatea. «Prima che la barca affondi!»
Ormai tutto tremava al ritmo della Parola. Non c'era una tavola o una cima o un gancio da poppa a prua che non fosse in movimento. Nella stiva, i tre zethek venivano ancora scagliati avanti e indietro, implorando pietà.
Candy chiuse gli occhi. Stranamente, vedeva con la mente la parola che aveva pronunciato. Eccola lì, chiara come il cristallo.
Jass... assa... kya... thüm...
Svuotò i polmoni attraverso le narici. Poi, a occhi chiusi, trasse un profondo respiro.
La parola tremò nella sua mente. Poi s'infranse, e parve volare in mille pezzi. Era solo la sua immaginazione, o la sentiva tornare in gola? Deglutì a fondo, e la parola sparì.
La reazione fu immediata. Le vibrazioni si spensero. Le tavole ricaddero al loro posto, tempestate di chiodi. L'albero smise di oscillare. I pesci cessarono i loro grotteschi volteggi.
Gli zethek capirono in fretta che l'attacco era cessato. Dissigillarono le orecchie e scossero la testa, come per rimettere in ordine i pensieri.
«Andate, fratelli!» disse Nattum. «Prima che la ragazza-strega faccia un altro giochetto dei suoi!»
Non attese di vedere se i compagni seguivano il suo suggerimento. Prese ad agitare furiosamente le ali e si levò in aria, librandosi a zigzag verso il cielo. Methis stava per seguirlo; poi si rivolse a Kud.
«Roviniamogli la pesca!»
Skebble emise un lamento contrariato. «No!» urlò. «Non...»
Il suo urlo venne ignorato. Le due creature si accovacciarono tra il pesce, e dalla stiva si levò il puzzo più tremendo che Candy avesse mai inalato in vita sua.
«Stanno...?»
Malingo annuì cupo.
«La pesca! La pesca!» ululava Skebble. «Oh, Signore, no! No!»
Methis e Kud trovarono il tutto molto divertente. Fatto del loro peggio, agitarono le ali e decollarono.
«Maledetti! Maledetti!» urlò Skebble mentre si allontanavano.
«C'era abbastanza pesce per nutrire il villaggio per metà stagione» disse Galatea in tono luttuoso.
«E l'hanno avvelenato?» chiese Malingo.
«Che cosa ne dici? Senti che puzza. Chi mangerebbe qualcosa che puzza così?»
Kud era sparito nel buio, seguendo Nattum verso Gorgossium. Ma Methis era così impegnato a ridere per quello che avevano appena fatto che per errore colpì la punta dell'albero con l'ala. Per un attimo lottò per riprendere l'equilibrio, ma perse lo slancio e ricadde verso la Parroto Parroto. Colpì l'orlo del tetto della timoniera e rimbalzò sul ponte, dove giacque svenuto.
Ci fu un attimo di silenzio sorpreso. Tutta la sequenza di eventi - dalla Parola pronunciata da Candy al precipitare di Methis - era avvenuta in non più di un paio di minuti.
Fu il vecchio Mizzel a spezzare il silenzio.
«Charry» disse.
«Sì?»
«Prendi una cima. E tu, Galatea, aiutalo. Legate quel sacco di sudiciume.»
«Perché?»
«Fatelo e basta!» disse Mizzel. «E sbrigatevi, prima che quella maledetta cosa si svegli!»
6
Due conversazioni
Allora» disse Mizzel, quando lo zethek stordito fu ben legato. «Volete sapere che cos'ho in mente?»
Erano tutti seduti a prua, più lontani che potevano dal puzzo della stiva. Candy era ancora vagamente sotto shock: ciò che si era appena vista fare (pronunciare una parola che non sapeva nemmeno di sapere) richiedeva attente riflessioni. Ma non era il momento di riflettere. Mizzel aveva un piano, e voleva metterne tutti al corrente.
«Dovremo gettare in mare tutti i farinelli. Fino all'ultimo.»
«Un sacco di gente avrà fame» disse Galatea.
«Non necessariamente» ribatté Mizzel. Aveva un'espressione astuta sul volto coperto di cicatrici e sciupato. «A ovest c'è l'Isola delle Sei in Punto...»
«Babilonium» disse Candy.
«Proprio così. Babilonium. L'Isola della Gran Sagra. Feste mascherate e parate e fiere e combattimenti di scarafaggi e musica e danze e mostri.»
«Mostri?» disse Galatea. «Che genere di mostri?»
«Di tutti i generi. Cose che sono troppo piccole, cose che sono troppo grandi, cose con tre teste, cose senza testa. Se vuoi vedere mostri ed esseri deformi, allora Babilonium è il posto giusto.»
Mentre il vecchio parlava, Skebble si era alzato ed era andato alla porta a osservare lo zethek legato.
«Hai mai visto questi spettacoli di mostri a Babilonium?» chiese a Mizzel.
«Sicuro. In gioventù ho lavorato a Babilonium. Ho fatto anche un sacco di soldi.»
«Facendo cosa?» chiese Galatea.
Mizzel parve un po' a disagio. «Non voglio entrare nei dettagli» disse. «Diciamo che c'entravano... ehm... i gas corporei... e il fuoco.»
Nessuno disse nulla per qualche istante. Poi Charry sbottò. «Scoreggiavi fuoco?» chiese.
Tutti repressero il divertimento con un enorme sforzo di volontà. Tutti tranne Skebble, che emise uno scoppio di risa. «È così!» disse. «È così, vero?»
«Era per vivere» disse Mizzel, scrutando con orgoglio Charry, le orecchie rosso vivo. «Ora per favore posso continuare a raccontare?»
«Continua» disse Skebble. «Vieni al dunque.»
«Be', direi che se riusciamo a portare questa dannata barca fino a Babilonium, di sicuro troveremo qualcuno che compri quello zethek e lo metta in uno di quegli spettacoli di mostri.»
«Possiamo farci molti soldi con un affare del genere?»
«Faremo in modo di ottenerli. E quando avremo concluso l'affare faremo rotta per Tazmagor, faremo ripulire la stiva e compreremo una nuova scorta di pesce.»
«Che cosa ne pensi?» disse Candy a Skebble.
Lui scoccò uno sguardo alla creatura legata e si grattò la barba in disordine.
«Tentar non nuoce» ribatté.
«Babilonium, eh?» disse Candy.
«Cos'è, è un problema?» disse Skebble, stizzito. Erano trascorse un paio d'ore tetre e dense di eventi. Era di certo stanco, le sue energie erano esaurite. «Se non volete venire con noi...»
«No, no, verremo» disse Candy. «Non sono mai stata a Babilonium.»
«Il parco giochi di Abarat!» disse Malingo. «Divertimento per tutta la famiglia!»
«Be', allora... che cosa stiamo aspettando?» disse Galatea. «Possiamo buttare i farinelli durante il viaggio!»
Per caso, Otto Houlihan era a Gorgossium in quel momento, ad aspettare un'udienza con il Sire della Mezzanotte. Non era una prospettiva attraente. Avrebbe dovuto riferire che anche se era arrivato a un passo dal catturare la ragazza nella Cripta di Hap, aveva fallito, e che lei e il suo compagno rattopardo con tutta probabilità erano morti cadendo nel vuoto. La notizia non avrebbe reso felice Carrion, lo sapeva. E la cosa lo rendeva nervoso. Ricordava fin troppo bene il pasto degli incubi a cui aveva assistito nella Dodicesima Torre. Non voleva morire come quel disgraziato minatore. Nel tentativo di allontanare dalla mente questi pensieri inquietanti, s'infilò in una piccola locanda chiamata Il Pazzo in Catene dove bevve della vodka di Hubarukus. Forse era il momento - pensò mentre beveva - di lasciar perdere la vita da cacciatore e trovare un modo meno rischioso di far soldi. Come organizzatore di incontri di lotta tra scarafaggi, forse; o come lanciatore di coltelli. Qualunque cosa, purché non dovesse più tornare a Gorgossium ad aspettare...
Le sue viscide riflessioni furono interrotte da risate che provenivano dall'esterno della locanda. Barcollò fuori per capire il motivo di quella confusione. Parecchi avventori, molti in uno stato di ebbrezza anche peggiore del suo, formavano un rozzo cerchio e indicavano qualcosa per terra, al centro.
L'Uomo Incrociato andò a vedere. Lì nella polvere c'era uno degli abitanti più brutti di Gorgossium: un grosso zethek. A quel che pareva aveva urtato contro un albero ed era caduto a terra, ed era lì in piedi, molto confuso, a togliersi le foglie dai capelli e sputare sudiciume. Gli ubriaconi continuavano a ridere di lui.
«Avanti, deridetemi!» disse la creatura. «Kud ha visto una cosa che a voi fa molta paura. Una cosa terribile ha visto.»
«Oh, davvero?» disse uno degli ubriachi. «E che cos'era?»
Kud sputò un ultimo boccone di polvere. «Una ragazza-strega» disse. «Mi ha fatto cattiva magia. Quasi ucciso con sua parola.»
Houlihan si fece largo a gomitate e afferrò lo zethek per l'ala in modo che non fuggisse. Poi scrutò la sua faccia ferita e confusa. «Hai detto che hai lottato con questa ragazza?» gli chiese.
«Sì.»
«Era sola?»
«No. Era con un rattopardo.»
«Sei sicuro?»
«Tu dici che io non so che faccia ha un rattopardo? Bevo il loro sangue da quando ero piccolo.»
«Lascia perdere il rattopardo. Parlami della ragazza.»
«Non scuotermi! Non voglio essere scosso. Sono...»
«Kud lo zethek. Sì, ho sentito. E io sono Otto Houlihan, l'Uomo Incrociato.»
Quando Houlihan disse il suo nome, la folla che si era assiepata attorno a Kud all'improvviso si disperse.
«Ho sentito parlare di te» disse Kud. «Sei pericoloso.»
«Non per i miei amici» ribatté Otto. «Vuoi essere mio amico, Kud?»
Lo zethek ci mise solo un istante a riflettere. «Ma sicuro» disse, chinando il capo con fare rispettoso.
«Bene» disse l'Uomo Incrociato. «Torniamo alla ragazza. Hai capito come si chiamava?»
«Il rattopardo la chiamava...» Lo zethek si accigliò. «Com'era? Mandy? Dandy?»
«Candy?»
«Candy! Sì! La chiamava Candy!»
«E su che isola hai visto la ragazza l'ultima volta?»
«Niente isola» rispose Kud. «L'ho vista su una barca, là fuori...» E indicò alle sue spalle, verso le acque senza luce dell'Izabella. «Tu vai a cercarla?»
«Perché?»
Kud era nervoso. «Magia in lei» disse. «Mostruosa. È mostruosa.»
Houlihan non fece commenti sulla stravaganza di una creatura come Kud che definiva Candy un mostro. Disse soltanto: «Dove la trovo?»
«Segui il tuo naso. Gli abbiamo rovinato la pesca sporcando nella loro stiva.»
«Molto sofisticato» disse Houlihan, e voltò le spalle alla bestia confusa, per soppesare le possibilità. Se fosse rimasto a Gorgossium, alla fine sarebbe stato ammesso al cospetto di Carrion e costretto a spiegare come la ragazza l'aveva beffato un'altra volta. L'alternativa era partire dalla Mezzanotte e sperare di riuscire a trovare Candy e ottenere alcune risposte da lei prima che Carrion lo richiamasse indietro e volesse saperne di più. Sì! Era meglio. Molto meglio.
«Hai finito con me?» ringhiò lo zethek.
Houlihan tornò a guardare quell'essere squallido.
«Sì, sì. Vai» disse. «Ho del lavoro da fare, devo seguire la tua puzza.»
7
Qualcosa di Babilonium
Il breve viaggio fino all'Isola del Luna Park portò ben presto la Parroto Parroto fuori dal buio che circondava Gorgossium. Un brillio dorato all'orizzonte segnava la loro destinazione, e più le si avvicinavano, più barche apparivano nelle acque attorno al piccolo battello da pesca, tutte dirette a ovest. Perfino il più insignificante dei battelli era decorato con bandiere e luci e nastri, ed erano tutti carichi di gente felice che andava a festeggiare sull'isola laggiù. Candy sedeva a prua: guardava le altre barche e ascoltava i canti e le urla che echeggiavano sull'acqua.
«Non vedo ancora Babilonium» disse a Malingo. «Vedo solo nebbia.»
«Ma le vedi le luci in questa nebbia?» disse Malingo. «Quella è di sicuro Babilonium!» Sorrise come un bambino eccitato. «Non vedo l'ora! Ho letto dell'Isola della Gran Sagra nei libri di Wolfswinkel. Tutto ciò che uno abbia mai desiderato di vedere o di fare è là! Ai vecchi tempi, la gente arrivava dall'Altromondo per passare il tempo a Babilonium. Tornavano con la testa così piena delle cose che avevano visto che dovevano inventare nuove parole per descriverle.»
«Tipo?»
«Oh. Aspetta un po'. Fantasmagorico. Catartico. Pandemonico.»
«Non ho mai sentito dire pandemonico.»
«L'ho inventata io.» Malingo fece una smorfia. «Ma c'erano centinaia di parole, tutte ispirate da Babilonium.»
Mentre parlava, la nebbia prese a diradarsi, e l'isola che aveva celato diventò visibile: un ammasso scintillante e caotico di tende e stendardi, ottovolanti e attrazioni.
«Oh. Mio. Lordy Lou» disse piano Malingo. «Venite un po' a vedere.»
Anche Charry e Galatea, che stavano costruendo una gabbia improvvisata di assi e corda per rinchiudere lo zethek catturato, abbandonarono l'opera per contemplare lo spettacolo.
E più la Parroto Parroto si avvicinava all'isola, più la vista sembrava straordinaria. Nonostante il fatto che l'Ora non fosse ancora tarda e il cielo fosse ancora chiaro (ostentava solo poche stelle), le lanterne e le lampade e le miriadi di fuocherelli ardevano così vivaci da far scintillare l'isola. E a quella luce si vedeva la folla impegnata nella lieta fatica del piacere. Candy udiva il suo ronzio soddisfatto anche al di là di una notevole massa d'acqua, e ciò le fece accelerare il cuore per l'aspettativa. Che cosa vedevano quelle persone da essere così stordite dalla contentezza? Chiacchieravano, urlavano, cantavano, ridevano; soprattutto ridevano, come se avessero appena imparato a farlo.
«È tutto vero, eh?» chiese Candy a Malingo. «Voglio dire, non è un miraggio o roba del genere?»
«La tua supposizione vale quanto la mia, signora» disse Malingo. «Voglio dire, ho sempre pensato che fosse perfettamente vero, ma mi sono già sbagliato prima d'ora. Oh... a proposito... di sbagliarsi, se sei ancora interessata a imparare quel po' di quella magia che ho estratto dai libri di Wolfswinkel, sarei lieto di insegnartela.»
«Che cosa ti ha fatto cambiare idea?» «Che cosa credi? La Parola di Potere che hai pronunciato.»
«Oh, intendi dire Jass...»
Malingo posò un dito sulle labbra di Candy. «No, signora. Non farlo.»
Candy sorrise. «Oh, sicuro. Potrebbe sciupare questo momento.»
«Ricordi che cosa ti avevo detto a Tazmagor? La magia ha le sue leggi.»
«E tu puoi insegnarmele? Almeno alcune. Impedirmi di compiere qualche brutto errore.»
«Credo che potrei provarci» ammise Malingo. «Anche se mi pare che forse tu sappia più di ciò che credi.»
«Ma come? Sono solo...»
«... una ragazza qualunque dell'Altromondo. Sì, questo è ciò che continui a dire.»
«Non mi credi?»
«Signora, io non conosco altre ragazze qualunque dell'Altromondo a parte te, ma sarei pronto a scommettere che nessuna di loro potrebbe affrontare tre zethek e uscirne vittoriosa!»
Candy pensò alle ragazze della sua classe. Deborah Hackbarth, Ruth Ferris. Malingo aveva ragione. Era molto difficile immaginare una di loro nei suoi panni.
«Va bene» disse. «Supponendo che io sia davvero diversa, che cosa mi ha reso tale?»
«Questa, signora, è un'ottima domanda» rispose Malingo.
Dopo parecchie manovre tra le flottiglie di barche e traghetti e gente su bici d'acqua che affollavano il porto, Skebble riuscì a far attraccare la Parroto Parroto a Babilonium. Anche se il bottino della pesca era stato gettato negli stretti parecchie miglia prima, il puzzo degli zethek aveva intriso i loro abiti, così la prima cosa che fecero prima di avventurarsi per i marciapiedi stipati fu acquistare tenute più profumate. Non fu difficile. Nel corso degli anni un certo numero di intraprendenti mercanti di tessuti aveva allestito delle bancarelle vicino al porto, sapendo che molti visitatori avrebbero voluto liberarsi dei loro abiti da lavoro non appena messo piede a Babilonium e comperare qualcosa di un po' più appropriato all'atmosfera della Gran Sagra. In quel caotico piccolo bazar c'erano cinquanta, sessanta bancarelle, e tutti i proprietari decantavano le virtù della loro mercanzia a piena voce. Ciabattini, stivalai, costruttori di bastoni e di bretelle, sarti di sottovesti, corsettai, commercianti di completi e di cappelli.
Va da sé che in vendita c'erano parecchi abiti molto sgargianti e bizzarri - stivali canterini, cappelli-acquario, biancheria di raggiodiluna - ma solo Charry (che in effetti comprò gli stivali canterini) cedette all'infaticabile arte dei mercanti. Tutti gli altri scelsero abiti comodi che avrebbero potuto esibire senza imbarazzo quando avessero lasciato Babilonium.
L'Isola della Gran Sagra era tutto ciò che Candy e Malingo avevano sperato, e di più. Attirava gente da tutto l'arcipelago, quindi vi era ogni genere di forme e facce, abiti, lingue e abitudini. I visitatori delle Isole Esteriori, per esempio - i nativi di Autland e Monte Screzio - portavano abiti semplici e pratici; il loro senso della Sagra si limitava a un nuovo panciotto o a un piccolo violino che suonava al loro andare. D'altro canto, i festeggianti delle Isole della Notte - da Huffaker, Bubbola e Idjit - erano vestiti come fuggiaschi dal sogno di un mago: maschere e costumi erano così fantastici che era difficile distinguere dove finiva il pubblico e cominciava lo spettacolo. Poi c'erano i viaggiatori in arrivo da Commexo City, che prediligevano una certa elegante modernità nelle loro tenute.
Molti portavano piccoli collari che proiettavano immagini in movimento sulle loro facce, maschere di luce e colore. Quasi sempre erano le avventure del Bimbo Commexo che andavano in onda sugli schermi di quelle facce.
Infine, naturalmente c'erano le creature - ed erano molte - che, come Malingo, non avevano bisogno di luci o colori per diventare parte di quel prodigioso Luna Park. Creature nate con grugni, code, squame e corna: le loro forme e le voci e i modi erano uno spettacolo in sé e per sé.
E che cos'erano venuti a vedere tutti questi frequentatori della Gran Sagra?
Qualunque cosa, a dire il vero, il cuore e l'animo bramoso desiderasse. Lotta di cimici micassiane in una tenda, danza sottiglia in un'altra; un circo con sette piste, completo di una troupe di dinosauri albini, in una terza. C'era una bestia chiamata fin-goos, che t'infilava il muso nella testa per leggerti nel pensiero. Lì accanto, un coro di mille uccelli mungualameeza cantava brani dai Calabroni di Fofum. Ovunque uno volgesse lo sguardo c'erano spettacoli. Il Neonato Elettrico, che aveva la testa piena di luci colorate, era in mostra lì, così come un poeta di nome Thebidus, che recitava poemi epici con delle candele in equilibro sulla pelata, e una cosa chiamata frayd, che veniva etichettata come una bestia che bisognava vedere per credere: non una ma molte creature, ciascuna nell'atto di divorare l'altra per celebrare "una testimonianza vivente degli orrori dell'avidità!".
Naturalmente, se non si voleva entrare nelle tende, c'era moltissimo da fare all'aria aperta. C'era un dinosauro in mostra - "catturato di recente da Rojo Pixler nelle distese selvagge delle Isole Esteriori" - e una bestia con gli zoccoli grossa come un toro che camminava delicatamente su un alto filo, e naturalmente gli inevitabili ottovolanti, ciascuno con la pretesa di essere più emozionante dei rivali.
L'aria era piena degli aromi mescolati di mille cose: pasticci, caramello, segatura, gasolio, sudore, alito cattivo, fumo dolce, fumo acido, frutta quasi marcia, frutta ben più che marcia, birra, piume, fuoco. E se la felicità aveva un odore, c'era anche quello nell'aria di Babilonium. In effetti, era l'aroma che aleggiava dietro tutte le altre fragranze. E l'isola non sembrava mai esaurire le sue sorprese. C'era sempre qualcosa di nuovo dietro il prossimo angolo, nella prossima tenda, nella prossima arena. Naturalmente, come ogni luogo che vanta tanta brillantezza e meraviglia, aveva anche la sua dose di ombre. A un certo punto il gruppo svoltò via dal percorso principale e si ritrovò in un luogo dove la musica non era così fragorosa e le luci non così intense. C'era una magia più sinistra e serpentina in atto, lì. C'erano colori nell'aria, che disegnavano forme appena visibili prima di dissolversi di nuovo; e musica che veniva da qualche parte e sembrava cantata da un coro di neonati iracondi. Gente spiava da dietro le tende delle bancarelle a destra e sinistra, o vi volava sopra, e le forme di costoro mutavano mentre volteggiavano contro il cielo.
Ma erano arrivati nel posto giusto, non c'era alcun dubbio. Davanti a loro c'era un cartellone di tela che recitava MOSTRA DI MOSTRI, e sotto una fila di stendardi a colori vivaci sui quali era stata dipinta in modo rozzo una serie di creature stravaganti. Un essere con una frangia di braccia e tentacoli attorno al testone; un ragazzo col corpo di un rettile; una bestia che era un bizzarro compendio di pezzi messi insieme a caso.
Davanti a tutto questo, Methis lo zethek capì in fretta che cosa era in serbo per lui. Cominciò a scagliarsi da un lato all'altro della gabbia, levando oscene maledizioni. La rozza gabbia aveva l'aria di potersi infrangere da un momento all'altro sotto il suo assalto, ma si dimostrò più robusta della furia della creatura.
«Dovremmo sentirci un po' dispiaciuti per lui?» chiese Candy.
«Dopo tutto quello che ha fatto?» disse Galatea. «Non credo. Ti avrebbe ucciso a sangue freddo, se solo avesse potuto.»
«Immagino che tu abbia ragione.»
«E rovinare il pesce in quel modo» disse Malingo. «Pura malvagità.»
Lo zethek capì che parlavano di lui e tacque. Il suo sguardo passava dall'uno all'altro, colmo d'odio.
«Se uno sguardo potesse uccidere...» mormorò Candy.
«Dovremmo lasciare che sia tu a concludere l'affare» disse Malingo a Skebble, quando furono a pochi metri dall'esibizione di mostri.
«Dovreste avere anche voi un po' di soldi» disse Mizzel. «Non avremmo mai catturato quella creatura, non fosse stato per voi. Soprattutto Candy. Mio Sire! Un tale coraggio!»
«Non abbiamo bisogno di denaro» disse Candy. «Malingo ha ragione. Dovremmo lasciare che sia tu a vendere la creatura.»
Si fermarono a pochi metri dall'ingresso per dirsi addio. Non si conoscevano da molto, ma avevano lottato fianco a fianco per sopravvivere, così ci fu un'intensità nel loro congedo che non ci sarebbe stata se avessero soltanto viaggiato insieme.
«Venite sull'Isola di Efreet una Notte» disse Skebble. «Non vediamo mai il sole, naturalmente, ma voi sarete sempre i benvenuti.»
«Chiaro, abbiamo delle bestie feroci lassù» aggiunse Mizzle. «Ma vivono soprattutto sul lato sud dell'isola. Il nostro villaggio è a nord. Si chiama Pigea.»
«Ce lo ricorderemo» disse Candy.
«Non è vero» disse Galatea con un mezzo sorriso. «Saremo solo dei pescatori che avete incontrato durante i vostri vagabondaggi. Non ricorderete nemmeno i nostri nomi.»
«Oh, lei si ricorda» disse Malingo, scoccando uno sguardo a Candy. «Si ricorda sempre di più.»
Era una cosa strana da dire, naturalmente, così tutti ignorarono l'osservazione, sorrisero e si separarono. L'ultima volta che Candy si guardò indietro, il quartetto trascinava la gabbia di Methis oltre le tende, dentro la mostra.
«Credi che lo venderanno?» chiese Candy.
«Sono sicuro di sì» rispose Malingo. «È brutta, quella roba. E la gente paga per vedere le cose brutte, vero?»
«Suppongo di sì. Che cosa volevi dire quando hai detto che mi ricordo?»
Malingo si guardò i piedi e si succhiò la lingua per un po'. Infine disse:
«Non lo so bene. Ma tu ricordi qualcosa, vero?»
Candy annuì. «Sì» disse. «Solo che non so che cosa.»
8
Una vita per il teatro
Per la prima volta dall'inizio del loro viaggio insieme, Candy e Malingo capirono di avere gusti diversi. Fino a quel momento avevano viaggiato allo stesso ritmo, più o meno. Ma davanti alle alternative apparentemente illimitate e ai divertimenti di Babilonium, scoprirono di non essere così bene assortiti. Quando Malingo espresse il desiderio di vedere il lupo mannaro verde supergiocoliere, Candy moriva dalla voglia di fare un giro sul Profeta della Dannazione. Quando Candy si fu dannata sei volte, e voleva solo stare seduta tranquilla a riprendere fiato, Malingo era pronto a fare un giro sul Treno degli Spiriti per l'Inferno.
Così decisero di separarsi, di seguire i propri capricci. Ogni tanto, nonostante l'incredibile densità della folla, si ritrovavano, come accade agli amici. Si concedevano un paio di minuti per scambiarsi qualche parola eccitata su quello che avevano visto o fatto, e poi si separavano di nuovo, per cercare nuove attrazioni.
La terza volta che ciò accadde, tuttavia, Malingo ricomparve con le pieghe di pelle che aveva sulla faccia ritte per l'eccitazione e un ghigno assurdo.
«Signora! Signora!» disse. «Devi per forza venire a vedere!»
«Che cosa?»
«Non riesco a descriverlo. Devi venire e basta!» La sua eccitazione fu contagiosa. Candy rimandò la visita al Coro del Tabernacolo delle Lumache di Huffaker e lo seguì tra la folla fino a una tenda. Non era una di quelle enormi tende formato circo, ma era abbastanza grande da ospitare parecchie centinaia di persone. Dentro c'erano una trentina di panche di legno, quasi tutte occupate da un pubblico che manifestava con vigore la sua passione per la commedia che si rappresentava.
«Siediti! Siediti!» insisté Malingo. «Devi vedere!»
Candy si sedette all'estremità di una panca gremita. Non c'era posto per Malingo lì vicino, così lui rimase in piedi.
La scena della commedia era una grande stanza foderata di libri, oggetti antichi e mobili alla moda, con gambe e braccioli che recavano scolpite le teste accigliate e i terribili artigli dei mostri di Abarat. Tutto ciò era pura illusione teatrale, naturalmente; gran parte della stanza era dipinta su tela, e anche i dettagli dei mobili erano dipinti. Di conseguenza, niente era molto solido. Tutto lo scenario tremava ogni volta che uno dei protagonisti sbatteva una porta o apriva una finestra. E ce n'erano parecchie. La commedia era una farsa indemoniata, che gli attori interpretavano con tutti se stessi, urlando e scaraventandosi di qua e di là come pagliacci in una pista da circo.
Il pubblico rideva così forte che molte battute dovevano essere ripetute a vantaggio di coloro che non le avevano sentite la prima volta. Guardando lungo la fila in cui era seduta, Candy vide gente con le lacrime agli occhi, lacrime di allegria che colavano lungo i volti.